Non sono io una donna?

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Non sono io una donna?

Da sempre mi porto addosso questo nome su cui avete cucito le vostre convinzioni.

Continuate a fare del mio nome qualsiasi cosa.

Pensate che sarò per sempre il vostro irrinunciabile oggetto di proprietà?

So che continuate a mettere trappole laddove cammino.

Ma decido io cosa prendere e cosa abbandonare del mio nome.

Visto che il mio nome corrisponde a ciò che sono.

Non si tratta né di vero né di falso ma del mio “essere”.

Non abbandono il mio carattere guerriero.

Non abbandono il punto da cui ha avuto origine la mia lotta nella storia.

Ho lottato per prendere parola e ora non voglio tacere.

 

 

Non sono io una donna?

Sono lucida di fronte allo sfruttamento e alla sopraffazione.

Conosco la forma più brutale del dominio,

so che è qualcosa di costitutivo della società.

E conosco la rabbia che nasce dall’oppressione.

Ho aperto nuove strade dall’energia che proviene dal mio nome.

Energia che mi serve per andare contro i pregiudizi e le convenzioni.

So che ogni donna è tale a proprio modo.

Vi sfugge la definizione?

Siete voi che non concepite concetti aperti, non li avete mai “concepiti” veramente, ma solo pensati nel vuoto e nella solitudine della vostra mente.

 

Non sono io una donna?

I legislator del linguaggio di antiche e nuove ideologie mi consigliano parole più neutre e inclusive.

E così ancora una volta sono nascosta e occultata in un neutro.

Ma chi opera nella storia deve necessariamente parlare la lingua del padrone?

Siete altre forze che si aggiungono alle grandi forze che già conosciamo?

Ma avete letto solo la storia dei vincitori allora!

Ho imparato che il mio nome, Donna, non è una parola che veicola solo pregiudizi e false opinioni.

Imparate a riconoscere ciò che sono e, soprattutto, ciò che voglio essere.

 

Non sono io una donna?

Pronunciare il mio nome mi ha liberato il cuore, ha reso creativa la mente, sovversivo il corpo.

Ho imparato dalle donne che hanno vissuto il significato di ciò che sono oggi.

Un significato che tormenta il pensiero politico abituato a cancellarmi per imporre la sua unità.

Ho rifiutato e rifiuto ancora il moralismo e gli atteggiamenti moraleggianti.

Apro da sempre conflitti reali e profondi.

Voi invece continuate a pensare che come donna sono necessariamente buona e inclusiva.

Nel mio nome sì, è contenuto il senso della cura e il mio corpo è animato da un’antica lotta che però non combatto con la vostra spada.

 

Non sono io una donna?

Concetto affermativo e negativo che significa poter essere, un concepito senza coito, che tesse e ritesse il suo significato.

Non sono un’identità da intendere come controparte alla vostra.

La mia identità non è mai conclusa,

è in perenne movimento come il mare.

Il mio nome è un singolare collettivo.

Sono uscita dalle alternative già date.

Dai mari che non avete solcato con le vostre navi da guerra.

In quei mari ne va di me, del mio corpo sessuato, della mia libertà che non è uguale alla vostra.

 

Non sono io una donna?

Nei miei desideri si annida la trama di un’altra storia.

La storia di cui fate fatica a capire le trasformazioni che si porta dietro.

La solidarietà politica e teorica non mi basta.

Voglio produrre frizioni e scintille.

Perché con le vostre parole non mi avete saturata.

Non sono colma e non posso andare via da me stessa.

Se il pensiero corrisponde all’esperienza, la mia esperienza non può essere quella che dite voi.

Lasciatemi nel mio enigma.

Come un concetto aperto senza forma e senza fine, infinito.

 

Non sono io una donna?

Sono parola porosa, situata altrove, radicata negli abissi.

Solo sale politico libero dalle vostre definizioni.

Non ne accetto altre.

Non le udite le nostre voci?

Vi siete dimenticati che donna è parola di una resistenza,

di un processo materico che porta alla liberazione da ciò che ci vuole uniformi?

Rifletto su questo nome tirato da tutte le parti.

Un nome così necessario alle produzioni materiali delle vostre vite, del vostro sesso.

Ho abbandonato le definizioni date per godere questo spazio incontaminato dove il mio respiro si allarga.

 

Non sono io una donna?

Con voi ne va sempre di un potere.

Me lo ha detto Medea, una sera, in segreto.

Adesso so come nasce un potere, l’ordine.

Siete abituati a fare ordine uccidendo il mio caos.

Ma la mia eccedenza non si spegne.

La mia valenza è pre-rivoluzionaria.

Metto in crisi la coazione a ripetere senza mai pormi nell’unità di qualcosa.

Emergo dalla sorgente di una lotta antica.

L’inclusione non mi è mai bastata. Il diritto neanche.

Sono un’identità sospesa che non si esaurisce nel suo ruolo.

 

Non sono io una donna?

Questo è il nome della mia esperienza.

Non il nome che fuoriesce da una struttura binaria etero patriarcale.

Il mio nome apre alla differenza che non significa tutto.

È condizione di possibilità delle differenze nel loro significato molteplice.

È consapevolezza fondativa, presupposto necessario per ogni soggetto alla ricerca della sua verità.

E, detto tra noi, non sono neanche l’antitesi tra natura e cultura.

Il mio sesso e il mio corpo continuano ad essere intesi come una natura priva di storia?

Mero dato biologico riproduttivo.

 

Non sono io una donna?

Il mio corpo è ancora campo di battaglia, così come il mio nome.

Non sono una tabula rasa sulla quale s’iscrivono solo significati storici e sociali.

Sono posizione incarnata che porta la visione della parzialità nella storia.

Ho prodotto la rottura dei canoni, ho svelato la violenza dei discorsi sostenuti da una doppia morale.

Mi è capitato di abitare questa parola piena di accidenti.

Da necessità è diventata una parola di libertà

L’ho scelta e voluta per essere una storia diversa dalla vostra.

Ho abolito le maiuscole, rifiutato altre forme di nominazione e sterili acronimi.

E rigettato le definizioni unilaterali.

Tutti strumenti di potere su di me.

 

Non sono io una donna?

Si, ma non sono una, non sono l’opposto di, non sto nel binarismo.

Ho fatto opposizione a ogni tentativo di definizione.

Ho lavorato dentro al simbolico, ho criticato il discorso dei diritti.

Ho svelato la malattia dell’io, dell’ego pieno di onnipotenza.

Ho dichiarato la morte dell’universale politico moderno.

Sappiate che non escludo, ma che sono indisponibile ad essere di nuovo cancellata.

Sono matrice di me stessa venendo da un’altra.

Sono moltiplicazione infinita.

Forza di trascendenza.

 

Perenne connessione sistematica

che cerca vie di fuga dalle costanti storiche.

L’aggettivo è forse la storia del nome, del mio nome.

Il nome politico che mi sono data.

E la mia voce continua a risuonare nella domanda:

Non sono io una donna?

Non sono io una donna?

La scrittura di questo monologo è il lavoro che Studi Femministi ha elaborato in seguito alla lettura e alle varie discussioni che ne sono venute (anche in presenza dell’autrice), del libro di Paola Rudan, Donna. Storia di un concetto polemico e critico (Il Mulino 2019). Dai libri che leggiamo ci facciamo ispirare a partire dalle nostre singole urgenze di pensiero e di pratiche. Non troverete qui una fedele rielaborazione di ciò che ha scritto l’autrice, ma l’apertura di una relazione dialogica che ci consente di aprire nuove questioni, di prendere ciò che sentiamo come qualcosa che ci appartiene e che mette le ali a nuovi pensieri nell’ampiezza di forme espressive che aprono il nostro respiro. Il titolo del nostro monologo riprende il celebre discorso di Sojourner Truth “Ain’t I a Woman?”. Chiunque si senta interpellato/a, sappia che lo è e che non è né il solo né la sola.

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